Che Marco Bellocchio ci avesse abituato a film di livello (come “Il Traditore” con uno straordinario Pierfrancesco Favino nei panni di Ninni Buscetta) era cosa ben nota, ma che non finisse di stupire, forse, non ce lo si aspettava.

La Rai questa settimana ha trasmesso in 3 serate evento la vicenda sul caso di Aldo Moro, magistralmente raccontata in “Esterno Notte”, ultima fatica del regista. Il film – uscito in due parti nelle sale cinematografiche ed ora sviluppato in 6 episodi – è una chiara fotografia degli anni di piombo, della Democrazia Cristiana, del terribile rapimento di Moro e dei suoi 55 giorni di prigionia nelle mani delle Brigate Rosse.

Bellocchio ha voluto ripercorrere quelle pagine drammatiche della storia del nostro Paese attraverso lo sguardo di coloro che, all’epoca dei fatti, erano vicini al Presidente della DC: da Giulio Andreotti (che era Presidente del Consiglio) e Benigno Zaccagnini a Francesco Cossiga (Ministro dell’interno), da Papa Paolo VI (interpretato da Toni Servillo – la nostra intervista QUI) alla moglie Nora (Margherita Buy).

In “Esterno Notte” il clima pesante di quel periodo si respira anche attraverso lo schermo, con una panoramica precisa e volta a cogliere le sfumature delle fragilità proprie di ogni uomo.

Fabrizio Gifuni (la nostra intervista QUI) veste i panni del protagonista, evidenziandone il forte senso di giustizia, la profonda fede, ma anche la grande umanità che traspariva dalle sue parole e dai suoi gesti.

Lo spessore culturale pervadeva le file della politica di allora, così come i numerosi contrasti e le opposizioni nate dai ceti sociali più deboli, desiderosi di essere riconosciuti e tutelati, sfociando però spesso in manifestazioni di violenza e brutalità ingiustificate e assurde.

L’opera risulta, quindi, essere uno spaccato complesso e per molti versi macabro della democrazia di fine anni ‘70, fruibile sia da un pubblico giovane che può conoscere quelle dinamiche solo attraverso i libri di scuola, sia da chi ha vissuto quegli anni e li ricorda con grande angoscia.

Anche la colonna sonora e la fotografia contribuiscono alla buona resa di questo progetto, in cui la rielaborazione creativa del regista e degli autori si fonde alla perfezione con la cura al dettaglio e alla storicità dei fatti. Una narrazione attenta a preservare l’integrità umana e la dignità dei vari protagonisti, siano essi vittime o in qualche maniera – direttamente o indirettamente – colpevoli di qualcosa che si sarebbe potuto evitare e, probabilmente, di qualcosa che si sarebbe potuto fare e non si è fatto.

Un rosso che si tinge di nero con l’omicidio di colui che, agli occhi di tanti, era stato davvero l’unico sino a quel momento, ad aver dato chiari segnali di apertura, di dialogo, di inclusione, di rispetto delle diversità e che, purtroppo, ha pagato con la vita le colpe e le mancanze di molti.

Carlotta d’Agostino

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