
Siamo stati a vedere “Ho battuto Berlusconi!” al Teatro Trastevere, spettacolo andato in scena nell’ambito della rassegna “TRASTE – STORIE”, tratto dal testo di John Graham Davies, tradotto da Pietro Deandrea e Marco Ponti, adattato, diretto e interpretato da Lahire Tortora, con scene e costumi di Marta Mazzucato, luci e assistenza tecnica di Fabio Berton, proiezioni video di Claudio Verza. Ecco cosa ne pensiamo.
Non è facile tenere il pubblico inchiodato, mantenendo vivo l’interesse con un monologo di più di due ore. Eppure Lahire Tortora ci riesce benissimo. Complice il testo e un’impeccabile interpretazione variopinta, carica di sfumature e repentine variazioni di timbro.
Lahire è Kenny Nooman, nativo di Liverpool ma con origini irlandesi che, fra una calzoleria e l’attività di duplicazione chiavi, arranca in mezzo ai debiti con una moglie, due figli e il terzo in arrivo. Kenny è un proletario, proviene da una famiglia colpita in pieno dalla politica della Thatcher. Il padre, trasferitosi a Liverpool da Cork, è piombato in un arrendevole alcolismo durante la continua ricerca di un lavoro stabile nel pieno della crisi fordista, fra sussidi garantiti e negati.
Kenny impara a cavarsela come meglio può. E’ un uomo che non può certo chiedere troppo, ma può ancora sognare e lo fa da sempre. I suoi sogni hanno un nome: Liverpool. Sin da bambino portava quel nome, il nome della squadra che ha conquistato quattro coppe in otto anni, e ora, ormai adulto, dopo la lunga squalifica dei Reds a seguito delle tragedie di Heysel e Hillsborough, sogna la finale di Champion’s League che resterà nella storia del calcio, sogna Istanbul.
“Ho battuto Berlusconi!” comincia proprio così, con l’intenzione di raccontare quel viaggio a Istanbul dove il Liverpool, contro il Milan, dopo un disastroso primo tempo terminato con un punteggio di 3 a 0, si renderà protagonista di una memorabile rimonta, riportando in vita la speranza precedentemente sfumata. Il secondo tempo finirà in pareggio con un’eclatante vittoria ai rigori della squadra che, inizialmente, sembrava spacciata.
Fra il primo e il secondo tempo Kenny, rassegnato, si aggira alla ricerca di qualcosa da bere imbattendosi, per caso, nella tribuna d’onore della squadra avversaria e incontrando qui proprio il Presidente al fianco del quale si accomoda. Silvio Berlusconi è definito un “Don Vito Corleone” dall’aria tronfia, lampadato, con i capelli lisci all’indietro e il completo giacca e cravatta. Con la vittoria in pugno, acconsente alla presenza del tifoso avversario, approvando con un “colpetto al ginocchio”. Ma il ribaltamento della situazione porta al brusco allontanamento di Kenny che, anche se dagli spalti, si gusta la fantastica parata del portiere polacco Dudek che determina la vittoria del Liverpool e, guardando verso l’alto e incrociando lo sguardo del caro Presidente, si prende la sua rivincita con un sonoro “vaffanculo”. Una rivincita calcistica che è anche una rivincita personale: perché per una volta, finalmente, il potere è stato sconfitto e la testa, sempre tenuta bassa, per una volta, si è alzata e, per una volta, l’aria tronfia e soddisfatta, è la sua. Affronta il viaggio di rientro, stanco ma esuberante e con rinnovata energia si ricongiunge alla moglie. I problemi, al rientro, hanno un sapore diverso. Probabilmente il giorno successivo torneranno ad avere quello di sempre ma poco conta. In quel momento, il fine è lieto.
Questo è il racconto della finale storica oggetto del titolo. Ma “Ho battuto Berlusconi!” non è solo questo. Per arrivarci si passa attraverso una serie infinita di flashback, ripercorrendo la storia della squadra e non solo. L’infanzia di Kenny, segnata dalla politica della Thatcher; il padre, da cui Kenny ha ereditato la passione per il Liverpool, che si perde lungo la via, con una morte che divide ma lega in promesse non pronunciate; i due amici del cuore e le relazioni che con gli anni cambiano, le strade che si separano, la guerra in Iraq; le tragedie di Heysel e Hillsborough, partite sporche di sangue, che hanno radicalmente cambiato l’immagine del calcio agli occhi di Kenny, infrangendo il sogno, calando sul suo sguardo il velo della disillusione; l’ardua impresa della sopravvivenza per Kenny, la moglie e i figli, incluso quello in arrivo, che passa attraverso debiti da pagare arrangiandosi con attività “povere”; il conflitto con la moglie, più che mai attuale, per inseguire il sogno di Istanbul, estremamente costoso ma irrinunciabile, nonostante i debiti e le impellenti necessità di sopravvivenza.
Tutto questo viene rappresentato su un palco con due sedie e un telo dove vengono proiettate riprese originali dei momenti salienti che hanno indelebilmente segnato la storia. Kenny racconta tutto in prima persona con tanto di dialoghi diretti: Lahire Tortora, spostandosi sul palco, modificando la postura, utilizzando dialetti diversi, evidenziando le differenze nei timbri di voce, riesce a rendere ciascuno dei personaggi coinvolti unico, definito con un’infallibile coerenza nel corso dell’intero spettacolo.
Ricco di momenti commoventi ma non mancano scene esilaranti. Per citarne una, la conversazione telefonica della moglie di Kenny con parenti che comunicano lo stato di salute precario di un congiunto mentre, nel frattempo, anche Kenny è al telefono ma sta cercando i biglietti per la partita, esagitato, colmo della tipica euforia del tifoso. Lahire Tortora è la moglie di Kenny, ma è anche Kenny: l’effetto di rapida contrapposizione fra il tono di condoglianza e l’euforia strappa una delle tante risate assicurate.
In conclusione, si tratta di uno spettacolo sicuramente da vedere. Oltre due ore che volano, letteralmente, con un’intensità che raramente permette di prendere fiato. Si respira giusto durante i pochi cambi di costume del protagonista… Il resto è una rapida corsa nei ricordi che fa ridere e riflettere, provocando rabbia, ma anche speranza.
Flaminia Grieco