E’ disponibile su tutte le piattaforme musicali il nuovo disco di Serena Brancale, “Je so accusì”. Un titolo particolare, dove in un dialetto misto tra il pugliese in omaggio alla sua terra e quello napoletano imitando il celebre Pino Daniele, racchiude ciò che di più vuole far emergere tramite questa nuova compilation di brani: sé stessa. E’ il terzo album che l’artista lancia, distinguendosi sempre per un carattere musicale indefinito. E’ difficile infatti attribuirle un solo genere, come dichiara spesso anche lei stessa: ama esprimersi tramite il Soul, il Jazz o l’R&B ad esempio. La musica ha sempre fatto parte della sua vita, fin da piccola e Serena Brancale oggi è onorata di aver tramutato questa sua grande passione in lavoro. Tra le sue varie importanti apparizioni musicali, ricordiamo quella nel 2015 al Festival di Sanremo con “Galleggiare”.

Ciao Serena e grazie per essere qui con noi oggi. Come stai?
Ciao e grazie a voi. Molto bene grazie, è un bel periodo, iniziano ad esserci le prime date dei concerti di quest’estate e sento che l’album sta piacendo, sto ricevendo molti bei riscontri su questo, sono contenta.

Siamo molto contenti per te! Prima di parlare di questo tuo nuovo successo però, raccontaci di te. Dici spesso che la musica fa parte della tua vita fin da quando eri piccola, tua madre e tua sorella per passione e per lavoro infatti erano spesso in quest’ambito. Come ha reagito dunque la tua famiglia alla notizia che volessi anche tu affermarti nel mondo della musica?
I miei genitori sono sempre stati miei sostenitori, mi hanno lasciato libera di fare tutte le esperienze che volessi fare:  io ho ballato, ho recitato,  ho suonato strumenti come il violino o la batteria e ho fatto radio. Poi a 18 anni ho scritto un primo brano e ho iniziato a cantare e fare musica davvero, quindi abbastanza tardi. Prima di quest’età, avevo una voce molto scura, a tal punto che frequentavo anche una logopedista per questo, era quindi complicato allora anche solo pensare che io potessi fare della musica un lavoro, soprattutto con mia la voce. Mi soprannominavano “Pino” addirittura, perché avevo una voce quasi maschile. Con il tempo però questa situazione è rientrata, la mia voce è cambiata, ho iniziato a cantare partendo dai cori che dirigeva mia madre ed eccomi qua.

A proposito di inizi, c’è stato un momento preciso in cui hai realizzato che il tuo posto sarebbe stato accanto alla musica?
Si, volevo cantare un brano di Paola Cortellesi: “Non mi chiedermi”. Mi misi al pianoforte a studiare i suoi accordi, avendo già familiarità con la musica. Poco dopo all’età di 18 anni dovetti assistere alla morte di un mio amico e decisi di riproiettare le emozioni che provavo suonando al piano e componendo musica. Da quel momento poi ho iniziato anche a scrivere altre canzoni e mia madre lavorando già nel mondo della musica decise di farle ascoltare a suoi collaboratori anche più esperti di lei. Realizzai che avevo voglia non solo di comporre ma anche di far sentire. Tra i 19 e i 24 anni poi ho avuto la mia gavetta, tra matrimoni, piano bar e varie feste private, dove portavo tutti miei brani inediti, genere soul principalmente. Fino a quando durante una di queste serate anonime sono riuscita a conoscere un produttore che poi mi ha guidata fino a Sanremo.

Hai avuto un modello a cui ti sei ispirata durante la tua crescita artistica e personale?
Si, mi ispiravo molto a una contrabbassista cantante di nome Esmeralda Spalding, ma anche a Pino Daniele, omaggiato tra l’altro in questo album, e Giorgia.


Una delle tue esperienze principali come ricordavi anche tu prima, è stata quella a Sanremo nel 2015. Che ricordo hai di quest’esperienza? Ti piacerebbe tornare in gara sul palco dell’Ariston?
Si, mi piacerebbe molto tornare in gara lì, con un brano importante e studiato magari meglio di “Galleggiare”, che è stato un brano un po’ di nicchia. Sceglierei un brano più mainstream. Sono cambiata molto da allora, ma guardando indietro a quell’esperienza riconosco di essere stata molto brava e coraggiosa.

Dal 2018 sei parte de “L’isola degli artisti”. Com’è nata questa iniziativa e come ti hanno accolta?
Grazie a Sanremo ho conosciuto un produttore, che ho rivisto poco dopo e che mi ha invitata a far parte di questo progetto. E’ una realtà davvero speciale, pochi produttori coccolano e ascoltano l’artista in maniera profonda come accade in questo caso. Poi essendo entrata a farne parte a 29 anni avevo giustamente voglia di produrre in maniera contemplata, essendo già grande, e qui mi sono sentita davvero privilegiata a poterlo fare con persone attente e presenti.

Veniamo ora al tuo nuovo album: “Je so accusì”. Da dove nasce l’idea di questo titolo e che cosa hai riproiettato di te stessa in questi brani?
“Je so accusì” è un titolo in dialetto barese/napoletano, perché ci tenevo a ricordare la mia terra e allo stesso tempo quella di Pino Daniele, insieme al suo coraggio di intitolare spesso musica in dialetto. E’ infatti un album molto coraggioso questo, tratto molti temi importanti in primis quello dell’identità, per me fondamentale. Ho sempre fatto fatica personalmente nel descrivermi ai giornalisti o verso chiunque domandasse di me, riguardo all’ambito musicale. Io sono sempre stata un ibrido in questo senso, uso ad esempio batteria elettronica nei live, cantando anche in dialetto e spaziando tra pop, new soul, jazz e R&B. “Je so accusì” quindi è ciò che sono io, tutte le sfumature che mi rappresentano racchiuse in un solo album con cui mi descrivo musicalmente.

Nell’album sono presenti anche varie collaborazioni: ci racconti ad esempio com’è stato lavorare con Ghemon?
Mi sono trovata benissimo con lui, è una bellissima persona, buono, generoso, colto. Già da tempo volevamo collaborare insieme, ascoltando poi “Pessime intenzioni”, il brano che abbiamo realizzato insieme i questo disco, ho capito che poteva essere l’occasione giusta. Appena lui l’ha ascoltato ha accettato e così abbiamo deciso di collaborare in quest’occasione.

Un altro brano che cattura subito l’attenzione già dal titolo è “Rinascimento”. Credi che si stia vivendo un tempo di rinascita?
Questo brano l’ho composto con Davide, che io ritengo un politico del soul. E’ una persona molto energica e propositiva. In questo brano abbiamo racchiuso qualcosa di stravagante, quasi distopico, dove immaginavamo di rinascere in un’altra dimensione, con la speranza che possa essere preso qualcosa di reale anche nel nostro presente.

Che consiglio daresti a tutti coloro che ti seguono e aspirano ad una carriera come la tua?
Il mio consiglio è quello di ascoltare musica di ogni genere, non avere solo pochi punti di riferimento in quest’ambito e seguirli tutti. E poi di studiare e non perdere mai le speranze, solo così è possibile capire chi si è davvero e trasmettere poi al proprio pubblico grande energia.

In conclusione, tre aggettivi che secondo te rappresentano il tuo nuovo album?
Arancione, coraggioso e ibrido. Ma aggiungerei anche “accusi”, come nel titolo, per sottolineare quanto io sia così come mi descrivo tramite la musica che ho composto per quest’album.

Silvia Bulzomi

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