Pirandello esaminava le contraddizioni della realtà esterna attraverso il cosiddetto “sentimento del contrario”, Francesco Motta, invece, analizza le sue di contraddizioni, di imperfezioni e le racchiude nel nuovo album “Semplice”. Per il cantautore pisano è arrivato il momento di far pace con i lati più spigolosi della sua personalità, quelli che forse una volta respingeva, ma che ora ha capito essere ciò che ci rende umani. Decisivo in questo cambiamento di prospettiva è stato il difficile periodo Covid, in cui ha riscoperto il piacere delle piccole cose, della quotidianità. “Ho tolto il superfluo e posso finalmente dire di essere contento. Sono molto attaccato alle cose che mi fanno stare bene adesso, non sono tantissime ma ci sono e sono molto chiare”, ha dichiarato durante la conferenza stampa di martedì 27 aprile.

“Semplice” è il racconto della crescita personale e professionale di Motta, che ha un inizio, uno svolgimento e una fine: “Il disco si apre con “A te”, è la parte degli archi, è un percorso che abbiamo fatto io e Carmine Iuvone e ha un senso di rinascita, mentre in chiusura c’è “Quando guardiamo una rosa” ed è molto cupa, è un mondo che sto esplorando. La prima parte del pezzo è stata scritta con Dario Brunori, con cui non avevo mai lavorato prima. Avevo bisogno di un altro punto di vista per raccontare un periodo non particolarmente bello non solo per me ma per tutti. L’ultima parte della traccia è solo strumentale, perché credo davvero ci possa essere un racconto anche senza testo.”.

Rispetto ai due lavori precedenti, “Vivere o Morire” e “La fine dei vent’anni”, qui Motta si scrolla di dosso il passato, godendo del presente e strizzando l’occhio al futuro. Ma nel mondo del contrario anche questo è tutt’altro che una passeggiata. In conferenza, Francesco ha usato una frase tratta dal saggio “Lezioni americane” di Italo Calvino sulla leggerezza: “Prendete la vita con leggerezza, che leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore”. Ha poi spiegato: “Quello che ho sempre cercato di dire è appunto che la leggerezza non è una piuma che cade, che è pesante perché cade ma è l’uccellino che batte le ali per rimanere su. Quindi la leggerezza è faticosa, deve essere una conquista, non un punto di partenza.”. Restando in tema contraddizioni, “Semplice” non è facile neanche dal punto di vista musicale: il suono è stratificato, violini, viola e violoncello si muovono vorticosi in un lavoro discografico intenso, miscela di pop cantautorale e rock non priva di chitarre acide e punte di psichedelia, in cui echi di ascolti di band e artisti internazionali quali RadioheadLou Reed e The Cure si intrecciano con i modelli nostrani di Motta, da Luigi Tenco a Francesco De Gregori, chiara influenza in “Qualcosa di normale”.
A tal proposito una simpatica parentesi: “Ho scritto una mail a De Gregori per chiedergli un consiglio su “Qualcosa di normale”. Mi ha suggerito di cantarla con una donna. E chi meglio di mia sorella? È una delle voci che più mi piace in Italia. È l’unico feat presente. Volevo che accanto a me ci fosse una persona scelta nel profondo. Il testo ha cambiato significato cantandolo con lei.”.

Via il superfluo, avanti l’essenziale, dunque. E così la cover di “Semplice” si spoglia di tutto e non vi compare neanche Motta stesso. L’autore lascia che siano le parole, le canzoni a parlare, a far echeggiare nell’aria le emozioni e i sentimentiche sono fuoco ardente dentro di lui e del suo nuovo percorso.

Una liberazione, il bello di essere finalmente se stessi. “Questo disco l’ho fatto per me. In questi giorni dico sempre questa citazione del “Colle der fomento”: Io faccio il mio e non lo faccio né pe’ loro né per l’oro, lo faccio solamente perché sinnò me moro.”.

E da oggi questo disco è anche un po’ vostro.

Gerarda Servodidio

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