
“Life Book” è il titolo del nuovo album di inediti di Giuseppina Torre, pianista e compositrice siciliana di fama internazionale. Pubblicato lo scorso 21 giugno 2019 dalla prestigiosa etichetta Decca Records e distribuito da Universal Music, “Life Book”è una raccolta di 10 tracce, con musiche composte ed eseguite da Giuseppina Torre che raccontano le suggestioni, i pensieri e il vissuto dell’artista negli ultimi anni, come un vero e proprio libro di vita.
Giuseppina Torre nasce a Vittoria, in provincia di Ragusa. Nel 2012 vince due premi importanti ai Los Angeles Music Awards come International Artist of the Year e International Solo Performer of the Year. Nel 2017 vince il premio Akademia Awards of Los Angeles nella categoria Ambiental/Instrumental con la composizione del brano “Il mio cielo”. Nel 2018, è stata premiata negli Stati Uniti ai 5th Annual International Music and Entertainment Awards, che seleziona e premia le eccellenze di tutto il mondo nel panorama della musica indipendente.
Noi di Spettacolo News abbiamo avuto il piacere di fare una chiacchierata con lei. Creatrice della colonna sonora del documentario “Papa Francesco – La mia idea di arte”, ci ha parlato della sua musica, della sua rinascita e della sua volontà di guardare il mondo con occhi diversi.
Cominciamo da “Life Book”: hai considerato “Life Book” come “un disco importantissimo perché segna la tua rinascita”. Quali sono gli effetti di questa rinascita nel tuo atteggiamento musicale? C’è qualcosa di nuovo che vuole raccontarci questo libro di vita?
Allora, sì, in pratica c’è. “Life Book”, oltre al fatto che è importante perché segna il momento della mia rinascita, lo considero come una seduta di psicoanalisi. Attraverso le composizioni di questi brani ho fatto un viaggio dentro la mia anima. È un lavoro molto introspettivo, sono andata a fondo nel mio animo per cercare di trovare le soluzioni a quelli che erano stati i miei problemi e il mio malessere. “Life Book” descrive questi quattro anni dal 2015 fino al 2019, anni in cui ho vissuto il momento più critico e più brutto della mia vita. Perché c’è stato il mio più grande fallimento personale. Attraverso la musica è successo quel riscatto e quella rinascita, perché mi sono totalmente affidata alla musica, mi sono aggrappata alla musica e sopratutto al pianoforte che è stato la mia ancora di salvezza. Attraverso le note ho cercato di far uscire tutto quello che c’era dentro di me, che covava dentro di me. E quindi con questo percorso e con la musica sono riuscita a dire quello che avevo dentro. Non essendo una scrittrice, ho espresso i miei pensieri, tutto quello che avevo, tutto il mio dolore, tutta la mia voglia anche di ribellarmi a quel dolore, attraverso la musica. Ogni traccia dell’album racconta un momento e quindi una storia, la storia di quell’attimo che io ho vissuto, che ho sentito.
Come hai detto, dal 2015, l’anno della pubblicazione del tuo primo album “Il silenzio delle stelle” fino al 2019 in cui hai pubblicato l’album “Life book”, sono passati 4 anni. Che cambiamenti ha subìto la tua musica sia a livello tecnico che emotivo durante questo periodo, dopo aver ricevuto diversi premi internazionali, aver avuto tanti successi ed anche alcuni problemi personali?
A livello tecnico, diciamo che ho il mio stile particolare di scrittura. Però a livello emotivo, “Life Book” è diverso perché non vi è il tormento che vi era ne “Il silenzio delle stelle”. Qui c’è una chiara e netta volontà di orizzonti positivi, di orizzonti splendidi, di amore verso la vita e non di ritornare indietro verso il tormento. In “Life Book”, secondo me c’è anche una crescita dal punto di vista compositivo e una maturità diversa rispetto a “Il silenzio delle stelle”. Già sto scrivendo, già sto lavorando al prossimo disco e già noto che nel prossimo lavoro ci sarà una differenza rispetto a “Life Book”. Perché diventiamo più maturi, più padroni della tecnica compositiva quindi ci esprimiamo in maniera diversa. Ma è ovvio, questo fa parte delle evoluzioni del percorso artistico di ogni musicista. Però ripeto al livello emotivo vi è una differenza che è lampante. Perché, anche se parlo di argomenti gravi e duri che mi hanno fatto soffrire, c’è sempre la svolta positiva, una volontà di guardare la vita con occhi diversi.
Sento un sapore un po’ orientale nell’album “Il silenzio delle stelle”, specialmente nei brani come “Il Mio Cielo” e “Because I Need You”. Da dove derivano questi elementi?
Guarda, sono una siciliana. La Sicilia è terra che è stata dominata da tutti! Secondo me l’essere siciliano mi fa essere ricettiva, perché comunque ascolto tantissima musica e quindi sono propensa alle contaminazioni, così come è stata la mia terra che è stata influenzata dagli arabi ed è stata dominata da tante popolazioni. Quindi secondo me c’è qualche traccia di questa cosa nel mio sangue.
La tua musica è stata influenzata da alcuni musicisti italiani o stranieri? Quali musicisti sono i tuoi punti di riferimento?
Come compositori che mi piacciono e che appartengono alla mia sfera e al mio genere, mi piacciono tantissimo Michael Nyman e Einaudi. Però da qui a dire che mi sono ispirata a loro, anche no. Perché comunque ho come ti dicevo un mio stile che adesso è riconoscibile. Ma quelli che mi piace ascoltare sono Michael Nyman e Einaudi. Sono loro i compositori a cui mi sento più vicina come atmosfera, ma rimanendo fedele a me stessa. Comunque sì, per me sono loro i punti di riferimento.
Con quale termine definiresti la tua musica? La possiamo classificare in una categoria o forse in un genere musicale particolare?
Il classico contemporaneo, perché la mia formazione è classica.
Perché contemporaneo?
Contemporaneo perché adotto un linguaggio diverso rispetto a quello classico. Quindi la provenienza è classica perché lo stile e la formazione è classica, però adotto un linguaggio contemporaneo, del momento. Non è New age ma è il New classical perché prima degli anni ’80 e ’90 si parlava tanto di New age, ma dal 2000 in poi si è parlato appunto di New classical Music. Si chiama Classica Contemporanea oppure New Classical Music, ecco sono queste le due categorie principali per inquadrare la mia musica.
Parliamo dell’album “La mia idea di arte” e la composizione della colonna sonora del documentario “Papa Francesco – La mia idea di arte”. Vuoi dirci qualcosa sulla genesi della colonna sonora di questo interessantissimo documentario? E sull’esperienza di comporre la musica per film?
Sì, questo documentario è molto importante. Ci sono arrivata perché la mia musica era stata già utilizzata per altri documentari che sono andati in onda sulle reti Rai e anche su Canale 5, quindi il mio nome girava un po’ nell’ambiente. Quando mi arrivò la chiamata che dovevo scrivere la colonna sonora, ovviamente, c’è stato un primo momento di smarrimento, perché ero consapevole del fatto che avevo tra le mani un qualcosa di importante. Dovevo fare qualcosa diverso perché l’argomento era Papa Francesco e la sua idea di arte. Quindi tralasciando questo attimo di panico iniziale e ho iniziato subito a leggere, perché comunque deve esserci un qualcosa che ti fa scattare la scintilla per fare iniziare il processo creativo. Sono partita dalla lettura del libro, perché ancora non stavano girando le immagini e io dovevo ispirarmi a qualcosa. Papa Francesco poi è un grandissimo comunicatore ed esprime dei concetti, anche se riguardanti appunto l’arte, in maniera molto profonda. Esprime due concetti fondamentali che mi hanno colpito e che sono stati quelli che mi hanno dato l’idea per iniziare a scrivere. Si tratta di un concetto molto importante che dovremmo prendere in considerazione tutti: dice proprio che l’arte deve essere uno strumento di evangelizzazione e deve elevarci ed avvicinarci a Dio. E questo è un argomento delicato che riguarda qualcosa che stiamo perdendo nella nostra epoca. Stiamo perdendo anche il gusto del bello e ci stiamo allontanando sempre di più da Dio. Quindi meno apprezziamo l’arte più ci allontaniamo da Dio, e questo è un tema centrale per la nostra epoca. Perché adesso ci sono generi musicali che ci allontanano da Dio e bisognerebbe rivalutare il gusto per il bello.
Questo vuol dire che non ti piacciono altri generi musicali come la musica rock o la musica elettronica?
No no io ascolto tutto, Ascolto qualsiasi genere di musica. Mi piacciono tantissimo la musica pop, la musica jazz e la musica rock. Sono un’artista che ascolta di tutto e non rimane focalizzata solo sulla musica classica. Come quello che mi dicevi tu; hai sentito diverse contaminazioni, è giusto, perché io posso ascoltare anche la musica orientale, posso ascoltare qualsiasi tipo di musica e sono fondamentalmente un tipo molto curioso. Poi mi faccio un’idea, ho il mio gusto, quindi prediligo una cosa piuttosto che un’altra. E poi magari quella curiosità che io ho soddisfatto rimane dentro di me e poi la trasmetto e tu hai sentito quelle influenze.
Il tema dei migranti mi sembra sia molto importante per te. È il tema da cui nasce il brano “Un mare di mani”. Cosa puoi dirci a questo proposito ed in particolare sul fenomeno dell’immigrazione specialmente nel sud Italia? Sono viaggi che spesso si trasformano in tragedia…
La scrittura del brano “Un mare di mani” nasce proprio dall’aver visto delle immagini originali di salvataggio della Guardia Costiera, sono delle immagini molto forti e molto crude. Ho visto questo mare di mani che più tempo passava più diminuivano, perché la gente non ce la faceva più e annegava. Questo è un tema tragico, perché io abito proprio un passo dalla costa, scenario di questi sbarchi di clandestini. Questo tema mi riconduce ancora al discorso di Papa Francesco; lui esprime un altro concetto fondamentale dove dice che nessun uomo può scartarne un altro. Quindi questi clandestini vengono considerati appunto degli scarti. Qui c’è un altro uomo che decide che tu sei un essere da scartare. E questa è una cosa che mi ha fatto riflettere e mi ha dato poi la possibilità di poter scrivere questo brano. Perché appunto dovremmo ritrovare l’umanità che stiamo perdendo.
Secondo te il governo italiano come deve confrontarsi con questo problema?
Secondo me il Governo non dovrebbe fare quello che ha fatto, cioè arginare il problema con la forza, perché con la forza non si ottiene nulla. Dovrebbe prendere dei provvedimenti diversi, dovrebbe trovare delle soluzioni diverse, dare delle altre possibilità, farsi più rispettare anche a livello europeo. Facciamo parte tutti dell’Unione Europea e ognuno deve prendersi le proprie responsabilità, ma non tenere 300 persone in una nave e lasciarli morire; questo è disumano. Tu intanto devi dare aiuto, devi dare il primo soccorso. E poi secondo me ci sono delle cose che vanno valutate e vanno organizzate diversamente. Bisognerebbe riacquistare appunto l’umanità che abbiamo perduto. Perché non c’è nessun uomo che può dire “tu devi morire”, assolutamente no, siamo tutti uguali.
Hadi Farahmand