
Abbiamo intervistato Mariano Lamberti, regista, sceneggiatore, autore e poeta.
Raffinata la sua scrittura, l’uso di immagini evocative e l’ironia lo rendono un artista prezioso e pregevole. Una lunga carriera artistica divisa tra teatro, letteratura, televisione tra Rai e Mediaset come regia e sceneggiatura. Ricordiamo la recente raccolta di racconti “Amore sesso e altri emoticon” per Lantana Edizioni, dove l’autore affronta e continua la ricerca nel campo delle app per incontri e le relazioni virtuali nate sul web, iniziata con il precedente “Una coppia perfetta“.
Il suo ultimo lavoro teatrale “Processo a Fellini”, nell’anno del centenario dalla nascita del Maestro, mentre ovunque si omaggia il regista che con i suoi film visionari ha cambiato la cinematografia italiana, nel suo spettacolo la moglie Giulietta Masina è pronta a giudicare l’uomo ed il marito Federico nel suo tribunale personale.
Noi di Spettacolo News lo abbiamo incontrato e proprio l’autore inaugura la nostra sezione dedicata ai libri, alla letteratura e alla poesia. Parliamo con lui del suo ultimo libro, che chiude una trilogia, una personale rivisitazione della filosofia e religione buddista.
Sei reduce da una bella intervista a Rai Radio 2, nella trasmissione “L’Energia è servita” con Marisa Laurito e Barbara Boncompagni. Noi ci siamo conosciuti in trasmissione a Radio Italia Anni ’60 Roma e da subito è scattata una grande stima e simpatia. Parliamo del tuo ultimo libro “Fukyo”, edito dalla casa editrice NullaDie. Cosa rappresenta per te? un traguardo, un obiettivo, un punto di partenza?
Fukyo è sicuramente un traguardo editoriale perché rappresenta l’ultimo capitolo di questa mia “Trilogia del Dharma”, personale avventura poetica nella filosofia buddista, ma allo stesso tempo lo vedo anche come un traguardo esistenziale: dopo aver esplorato in maniera sapienzale il mondo del sapere buddista, in “Fukyo” cerco di incarnarla, quella saggezza, cantando la figura del bodhistava Fukyo, detto anche Mai sprezzante.
Fukyo, un titolo particolare per una figura del buddismo specifica, la compassione umana: perché questa scelta?
Fukyo è una figura archetipica della tradizione buddista giapponese, era un Bodhisattva (quello che gli occidentali chiamano un santo), che si inchinava a ogni essere umano che incontrava, persino a quelli che lo insultavano e lo ferivano con pietre e bastoni, riverendo la loro preziosità/Buddità innata. Ma aveva una particolarità questo Fukyo che lo rende unico e lo distingue da certa tradizione religiosa “masochista”: si scansava dagli insulti e dalle aggressioni fisiche, in virtù del fatto che lui stesso era la prima persona da riverire e proteggere “non suona la sua gola di umile pietà cristiana ma di scaltra saggezza orientale“.
Il tuo libro è l’ultimo di una trilogia iniziata nel 2016 con “La Supplica di Brahma”, seguita da “Gli eroi dei 100 mondi” e quindi Fukyo, che chiude la tua personale rivisitazione della religione buddista. Dobbiamo avere maggiore compassione del prossimo e maggiore cura del del nostro “io”?
Il “Mai sprezzante Fukyo”, rappresenta per la tradizione buddista (lo stesso Buddha storico diceva di essere una sua reincarnazione) l’espressione massima dell’agire retto, in termini occidentali dell’agire kantiano, un’etica incarnata in maniera umanissima e assoluta, preserviamo e ci prendiamo cura della nostra persona perché non puoi rispettare l’altro se non rispetti te stesso, per il buddismo questo è impossibile. Nichiren Daishonin il fondatore di questo buddismo che seguo da 25 anni scrive “Il cuore di tutti gli insegnamenti della vita del Budda… si trova nel capitolo ‘Mai Sprezzante’. Cosa significa il profondo rispetto per le persone del Bodhisattva Fukyo Mai Sprezzante per la gente? Il vero significato dell’apparizione in questo mondo del Budda Shakyamuni, il signore degli insegnamenti, sta nel suo comportamento da essere umano.”.
Si tratta di un cammino, un percorso diviso in tre parti, verso “la conoscenza e l’accettazione del proprio io”: spieghiamo ai nostri lettori.
Questa mia opera è un “Bildung poem”, un poema di formazione, il viaggio iniziatico di un giovane con il classico incontro/scontro edipico della tradizione freudiana; il ragazzo incarna la figura di Prometeo che il padre Zeus incatena “alla Roccia della sua depressione”, dalla quale il protagonista si libera con l’aiuto di un maestro, che gli insegna come trovare dentro di sé la forza necessaria per liberarsi dalle catene del passato, del Karma per intenderci. Il maestro aiuta il discepolo, gli fornisce i mezzi e le “guide” per sviluppare empatia e compassione e divenire quindi un essere umano.
Quanto vissuto, quante emozioni portate alla luce… In quanto tempo lo hai scritto?
Rispetto alle altre due parti della Trilogia, “Fukyo” ha avuto una gestazione più lunga, è nata diversi anni fa con “il Prometeo risvegliato”, un’autoconfessione del mio travagliato, reale rapporto con mio padre, della scoperta dell’omosessualità e di come mi sia liberato dal senso di colpa; poi si è aggiunto il capitolo Sensei poesie dedicate al rapporto con il maestro, infine è sbocciato questo poema mistico visionario “Fukyo”, che dà la il nome all’intera raccolta, dove si parla di corpi che si compongono e ricompongono dopo la morte, uniti in quello stesso mare che ancora non ha un nome.
Parli di poesia, anche in radio ne abbiamo parlato molto spesso. In questo difficile momento storico, il mondo ha bisogno di poesia? E perché la “poesia”, anziché la prosa?
Scrivere poesia (ma in generale l’impellenza dello scrivere) è un’esigenza dell’anima non della persona, qualcosa di più intimo, una musica che risiede nel profondo della vita che vuole essere suonata e ascoltata (quanto è importante sentirla recitare da attori bravi); la vita a livello essenziale è ritmo, armonia intrinseca: non voglio inoltrarmi in spiegazioni filosofico-scientifiche, ma è sempre più evidente che ci stiamo avvicinando, a livello interdisciplinare, all’idea di una sostanza chiamata Vita, come struttura organica legata al suono e alla musica.
Ci voleva una pandemia globale per scoprire o “riscoprire” il termine Cultura? Che valore diamo, oggi, alla cultura nel nostro Paese?
Paradossalmente nel nostro Paese la cultura occupa molto spazio nei gangli del potere mediatico e politico, ma altrettanto paradossalmente, nelle varie corti legate a quei gangli, circola poca arte. Parlerei più di una produzione artistica radicata nel controllo di poche elite che comunicano tra di loro in nome di un riconoscimento e di uno status quo. La vera Cultura dovrebbe parlare o almeno rivitalizzare la vita delle persone con un pensiero autentico e senza paura di scandalizzare, com’era un po’ Pasolini: la sua prima letteratura, il suo primo cinema erano grandiosi, descrivendo la vita umile e misera delle classi subalterne, era un vero Marxista in versi e in pellicola.
Dal 15 giugno, riaperti teatri e cinema: molti teatri grandi e piccoli non ripartiranno fino a settembre, a causa delle norme sanitarie e contingentamento. Qual è il futuro del teatro italiano, post Covid?
Voglio essere sincero: sono sempre più insofferente verso le persone che negano questa pandemia e che la minimizzano creando un danno incalcolabile per il futuro, favorendo una possibile ondata autunnale del virus… Detto ciò spero che i teatri i riaprano al più presto con stagioni ricche e fertili, magari con spettacoli meditati e sinceri, frutto di questo periodo unico e è irripetibile: quest’anno avevo in programma due spettacoli che spero vedano la luce presto e ho usato la parola luce non a caso…
Teatro, cinema, letteratura, poesia: che ruolo hanno avuto nel tuo percorso e formazione e quale, oggi?
Alla base del creare artistico, o del tentativo, c’è sempre la comunicazione che sia teatro cinema, letteratura, poesia; la voglia insopprimibile di un artista di comunicare è come l’aria che respira, un vero artista non si preoccupa di null’altro che di comunicare il suo mondo, a volte anche pagando prezzi altissimi.
Alessandra Paparelli
I libri di Mariano Lamberti QUI.