
È la riproduzione della celebre statua “L’operaio e la kolchoziana”, sintesi perfetta dell’ideale socialista, ad accogliere i visitatori alla mostra “Revolutja”, catapultandoli nella Russia della falce e del martello. La mostra è stata allestita negli spazi del MAMbo di Bologna, in occasione del centenario della grande Rivoluzione d’Ottobre del 1917, un evento epocale che si ripercosse sulla storia mondiale del secolo. Le opere in mostra sono sistemate secondo un ordine cronologico che scandisce e scandaglia i momenti più rappresentativi della storia russa nel primo ventennio del ‘900, coprendo un periodo ricco di cambiamenti politico-sociali e di eventi rivoluzionari, che trovano riflesso nella cultura del Paese e nella sensibilità degli artisti.
Siamo nel 1905.
Il’ja Repin e Valentin Serov intervennero in modo coraggioso in difesa delle prime trasformazioni rivoluzionarie, dipingendo “17 ottobre 1905”, “Che vastità!” e “Soldatini, bravi ragazzi, dov’è ora la vostra gloria?”. Trascorrono quasi dieci anni tra inquietudine e terrore, siamo nel 1915. Soffermandosi sulla tela “La guerra germanica” di Pavel Filonov, è possibile rivivere l’orrore della Prima guerra mondiale nella dimensione del caos e della distruzione; incrociando lo sguardo vitreo dei militari rappresentati da Kuz’ma Petrov-Vodkin in “Sulla linea del fuoco” è possibile cogliere l’insensatezza dell’impulso che spinge questi uomini a correre verso la morte in una sorta di trance, che non li abbandona neanche quando il proiettile ne trafigge il petto.
La Rivoluzione del febbraio 1917 e la svolta storica della Rivoluzione d’Ottobre fu vissuta e interpretata in modo diverso dagli artisti.
Lo sguardo severo e rassegnato a un futuro inevitabilmente doloroso della contadina che occupa il primo piano della scena in “Villaggio” di Boris Grigor’ev, esprime il presentimento del pittore dell’imminente catastrofe che colpirà la popolazione rurale. Diverso il forte senso di libertà evocato dalla giovane moglie vestita a festa che fluttua in cielo in “La passeggiata” di Marc Chagall. Questo primo piano di lettura profana i segreti custoditi da un’arte che ha avuto il coraggio di contemplare un periodo storico complesso, riflettendo gli stati d’animo che animavano la società. Il secondo piano di lettura traduce le molteplici lingue artistiche che hanno dato voce alle personalissime sperimentazioni di stili. Il tradizionale figurativismo, debitore del realismo ottocentesco, lascia il passo a esempi di cubofuturismo, primitivismo, astrattismo, costruttivismo e suprematismo. Tra i maggiori rappresentanti di queste correnti artistiche troviamo in mostra Natal’ja Gončarova, Michail Larionov, Vladimir Tatlin, Kazimir Malevich, Pavel Filonov, Aleksandr Rodčenko, Wassily Kandinsky, Marc Chagall, Boris Kustodiev, Aleksandr Samochvalov, solo per citarne alcuni. Tra le tele più famose “Quadrato nero” di Kazimir Malevich.
Questo progetto segnò l’inizio dell’arte suprematista in Russia ed è stato testimonianza di un sentimento comune: il quadrato nero è lo zero delle forme, il nulla da cui comincia il nuovo, il rifiuto di ogni legame con il passato, la prospettiva di un futuro ancora da costruire e interpretare.
La mostra traccia un percorso di crescita di quelle esperienze artistiche, conosciute sotto il nome di Avanguardie russe, che sono state protagoniste assolute di un periodo contraddistinto da un forte entusiasmo creativo. Fino al 1923, quando la linea politica pretese un’arte al servizio della causa socialista e pian piano creò i presupposti per sostituire gli strumenti espressivi dell’avanguardia con l’unico linguaggio artistico in grado di incarnare gli ideali comunisti. La prima formulazione ufficiale di “realismo socialista” apparve nel 1932: l’opera d’arte doveva avere forma realista e contenuto socialista. Questa strada viene percorsa da Konstantin Juon in “Giovani del Komsomol”, dove ritrae il volto di una contadina che indossa un fazzoletto rigorosamente rosso e non più a motivo floreale, legato dietro la nuca come le donne operaie, a dimostrazione di quell’alleanza tra contadini e operai, lontana dalla realtà, che avrebbe reso possibile il comunismo. Nelle tele di Aleksandr Samochvalov è centrale il tema delle macchine, delle moderne tecniche industriali che immagina in un futuro così prossimo da spacciare per presente, distorcendo la realtà effettiva delle fabbriche per interpretarla nel suo sviluppo socialista. Si spegne la forza creativa dell’avanguardia russa, perseguitata e costretta ad attenersi alle rigide linee guida del realismo socialista. Non è un caso che a chiudere la mostra sia il “Ritratto di I.V. Stalin” di Pavel Filonov, artista già incontrato per i tratti peculiari della sua pennellata, costretto a tradire la propria tecnica per migliorare la sua posizione agli occhi regime, per evitare di essere arrestato, esiliato o internato.
“Nei profondi nascondigli dell’arte si trovano i segreti dei fatti dei colpi di Stato, della riorganizzazione della vita delle persone“. La frase di Kazimir Malevich, estrapolata da un articolo del 1917, spiega lo stretto legame che intercorre tra storia, politica, società e arte russa in un groviglio di influenze reciproche di cui la mostra “Revolutija” ne è testimonianza.
Gea Salvatori